I limiti sono da superare o da rispettare?

Come avrete capito dal titolo oggi parliamo di “limiti“, lasciatemi spiegare. In alcuni periodi dell’anno, come questo, riesco a riscattare del tempo per scrivere. Coltivo quest’abitudine sin dall’adolescenza. Mi permette di fissare i punti principali e andare avanti alla successiva lezione che la vita mi prepara.

Ogni tanto, quando non è troppo personale,  condivido nelle mie pagine social queste riflessioni.

Oggi voglio parlare dei limiti.

    1. Quanto sono importanti i limiti?
    2. E fino a che punto ci si può permettere di superarli o di farli superare?

Concettualmente immagino i limiti come un recinto dentro il quale tutto si svolge in sicurezza, senza urtare la propria sensibilità, senza invadere lo spazio altrui, senza mettersi tanto alla prova. La cosiddetta zona di comfort.

I limiti si possono spostare, superare o ridimensionare.

Quando si tratta di limiti in merito a paure o capacità, cerco sempre di spostarli o superarli. Mi piace scoprire, imparare e mettermi alla prova, quindi se non so fare qualcosa, trovo qualcuno che mi insegni come si fa e provo a farla nel migliore dei modi. Allo stesso tempo, dopo aver provato un ragionevole numero di volte a fare bene una cosa per la quale mi ritengo non completamente capace, e non sortendo il risultato sperato, prendo atto che quello è per me un limite reale e mi concentro su altro. Per esempio, non sono brava ad allestire un tavolo da pranzo, non sono brava a disegnare, e non ho per niente il pollice Verde, piuttosto che morire per mano mia le piante si suicidano appena entrano in casa mia.

Ci sono poi dei limiti che invece ho dovuto pian piano ridimensionare, e sono quelli che riguardano i rapporti interpersonali.

Nel tempo:

    1. ho imparato che la costante gentilezza può essere fraintesa e interpretata come incapacità di comprendere le nascoste intenzioni altrui, mettendo l’altro nella condizione di abusare di tale cortesia;
    2. ho imparato che la disponibilità può essere scambiata come una porta aperta in una casa con tanti beni, permettendo così di entrare e uscire, prendendo quello che più serve in quel momento, per poi andare altrove quando la casa non ha più nulla di interessante da rubare;
    3. e infine, anche se la fine non è, ho imparato che si fa presto a usare la parola “amico” quando l’unica relazione umana che si è in grado di mantenere è quella di un conoscente. In quest’ultimo punto i social hanno dato una profonda impronta all’uso superficiale del termine.

Così, mentre fingo di non capire per lasciare che ciascuno manifesti se stesso senza condizionamenti, ho imparato a dire “NO” e “BASTA” a tutte quelle circostanze e persone che:

    1. con false giustificazioni e  false scuse cercano di nascondere un comportamento scorretto aspettando che io risponda con “Non preoccuparti, non fa nulla”. O che nascondono dietro un pensiero apparentemente giusto ed espresso con delicatezza, una macchinazione per raggiungere un vantaggio a loro beneficio;
    2. si avvicinano solo perché attratti da qualcosa che pensano di poter “rubare” senza che io me ne accorga.
    3. fanno presto ad usare il termine “amicizia” o “Affetto” perché associati per cultura o per natura a opportunismo e favoritismi.

Le parole “NO” e “BASTA” sono diventate il mio scudo contro certi malesseri. Cerco così di proteggere il mio fegato, il mio stomaco, il mio cervello e la mia pelle.

Quali sono le parole che hai imparato ad usare più spesso per prenderti cura di te?

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