LA FORZA DI UNA DONNA

 

 

Guardaci, siamo felici, condividiamo un giorno di festa, il matrimonio di una coppia di cari amici. Siamo felici, nonostante ciascuna porti nel suo cuore le ferite che la vita non manca mai di lasciare e nel momento ritratto in questo scatto, non abbiamo alcuna emozione negativa che ci impedisca di vivere appieno la gioia.

Ora ti chiedo, e chiedo a chi chiude, simbolicamente, gli occhi e le orecchie:

Perché si concede il diritto, ad un insano di mente, un X uomo, di porre fine a tutto questo? Di spegnere la vita di una donna che è rimasta in piedi nonostante le difficoltà? Perché anziché sentirmi protetta con un uomo accanto, devo temere che questi domani potrebbe uccidermi se non corrispondo più a quello che la sua mente vuole?

 

La risposta ha origini molto antiche e si trova proprio nella Genesi, ma non andrò così lontano.

Prendo la mia storia come punto di riferimento.

Sempre più spesso si sentono aberranti notizie di violenza sulle donne che ormai si concludono sempre con un omicidio.
I familiari e gli amici piangono la morta. Le autorità cercano il colpevole. Le indagini si concludono con piccole pene, spesso neanche detentive. La gente poi dimentica. Il male continua.

L’amore si insegna ai bambini da bambini, e, non avendo altri parametri di confronto, riconoscono come “giusto” l’insegnamento dei genitori, figure più vicine e regolarmente presenti, ai quali si è anche geneticamente legati.

Quando ero bambina, mio padre riusciva sempre a convincermi che non valevo, che non sapevo esprimermi, che non avevo motivi sinceri quando cercavo di stabilire un rapporto con lui ma che avevo chissà quale intenzione secondaria; che sarei sempre stata una bambina sconclusionata non meritevole di attenzioni. Non gli piaceva come muovevo le labbra quando parlavo, come gesticolavo, come mi vestivo e persino la mia grafia. Gli altri erano sempre migliori. Dovevo essere grande per accettare le sue decisioni ma non sarei mai stata grande abbastanza per riuscire nella vita. Per concludere c’era il mio aspetto fisico sempre fuori forma e spiacevole ai suoi occhi.

Faceva lo stesso con mia madre e lei non si ribellava. Lo assecondava, anzi faceva di tutto per piacergli e difenderlo.

Crescendo, la mia personalità determinata e forte si scontrava sempre più con la sua dominante e manipolatrice, è più volevo emergere più lui mi soffocava.
Chiusa in casa, a volte in stanza, sempre sotto controllo come un prigioniero, nel silenzio, senza amici perché tutti avevano paura di lui tranne i docenti che minacciavano di denunciarlo.

E io cosa vedevo? Un papà bellissimo, forte, intelligente che aveva avuto la sfortuna di avere una figlia deludente. Una figlia imperfetta, troppo imperfetta per meritare il suo amore.

Ho passato buona parte dei miei anni migliori a cercare di piacergli, invano. Così, nel tentativo di piacere e di ricevere affetto, al di fuori dalla famiglia, tutte le personalità simili alla sua erano quelle di cui mi innamoravo.
Sopportavo la violenza verbale, emotiva e a volte anche fisica perchè mi prendevo sempre la colpa; in fondo loro avevano ragione, lo diceva anche mio papà. Ero io che facevo perder la pazienza, non loro che volevano solo spegnermi.

Finché, vittima di un narcisista manipolatore, il riflesso ulteriormente distorto del padre dal quale non ero riuscita a farmi amare, ho rischiato la vita.

Cosa ho fatto? Ho chiesto aiuto ad uno specialista. Ho attraversato all’inverso la strada che mi stava portando ad una vita infelice e breve e ho capito.
Ho capito che non ero io che non andavo bene.
Ho capito che ciascuno ha diritto di essere se stesso senza dover entrare nel modello preimpostato di qualcun altro.

Ho perdonato. Ho preso le distanze dalle persone che vogliono solo le mie energie; dalle persone che usano un fare gentile solo per raggiungere i propri obiettivi; e ho imparato a riconoscere il bene dal male con i miei occhi e non con la lente deformante imposta nell’infanzìa.

 

Perché ho raccontato questa storia personale?

Per intenerire qualcuno? Per fare la vittima o attirare attenzioni? NO.

L’ho fatto:
1. Perché si può fare qualcosa per non morire emotivamente e fisicamente per mano di qualcuno.

2. Perché cerchiamo sempre le colpe negli altri, nei genitori, nel fidanzato violento, nella società, dimenticando che nella vita ciascuno ha la responsabilità di avere cura di se, compresa una donna.

L’infanzia non torna; le ferite non spariscono; l’affetto di cui si è stati privati non si può compensare.

La conoscenza difende, quindi rifletto:

A. Forse se sin dalle scuole dell’infanzia i bambini venissero istruiti circa i comportamenti malsani, come gli abusi, allora sarebbero più pronti a riconoscere il vero bene dal vero male.
B. Forse se chi commette un crimine fosse severamente punito, l’incidenza dei femminicidi si ridurrebbe.

C. Forse, e sempre forse, se i genitori fossero più attenti a reazioni e comportamenti non equilibrati di un giovane e piuttosto che coprirlo e giustificarlo facessero qualcosa di serio per aiutarlo a curarsi, ci sarebbero meno morti, anche in famiglia.

La vita, per fortuna, non è solo infanzia e adolescenza, e l’amore sano fa stare bene, non fa male e non uccide. Se la vita ha avuto una partenza buia, arriva il momento in cui possiamo decidere quale strada luminosa farle percorrere.

La vera vita inizia con la consapevolezza di sè.

Ps.: seppure ho concentrato l’attenzione sulla donna a motivo delle recenti notizie di cronaca, il contenuto di questo articolo riguarda nella stessa misura e senza discriminazione o parzialità anche l’uomo, poiché anch’esso può essere vittima allo stesso modo.

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